Olivicoltura

Canna piccolo castelletto di cento fuochi, fertile ed abbondante cum generoso vino, e optimi olei copia“,
scriveva G. Fiore già nel 1691.

Da sempre gli agricoltori cannesi si sono dedicati alla cura dell’olivo e da sempre mani esperte, in numerosi trappeti, hanno lavorato per la spremitura delle olive. Le “trofe”, enormi piante di olivo, che attraverso i secoli, raccontano la storia di innumerevoli buone annate, testimoniano quanto sia antica la storia dell’olivicoltura a Canna.
Prevalente èa sempre gli agricoltori cannesi si sono dedicati alla cura dell’olivo e da sempre mani esperte, in numerosi trappeti, hanno lavorato per la spremitura delle olive. Le “trofe”, enormi piante di olivo, che attraverso i secoli, raccontano la storia di innumerevoli buone annate, testimoniano quanto sia antica la storia dell’olivicoltura a Canna.

Prevalente è la presenza di oliva “nostrale”, più nota come “moresca”. Tra l’autunno e l’inverno, quando il frutto è maturo, inizia la raccolta: sacchi, cassette, tende, panieri sono attrezzi e contenitori utili da portare in campagna; prima dei moderni mezzi di trasporto, un buon ausilio era fornito dagli asini e dai muli, cui venivano appesi gli “sportoni” per il trasporto delle olive dal luogo di raccolta fino al paese. Ad accogliere le olive, a Canna, vi erano circa venti trappeti, in ognuno dei quali lavoravano cinque persone: tre “parti”, un “massaro” ed il padrone del frantoio. Questi trappeti, tuttora esistenti, erano arredati con attrezzi di artigianato locale: dal “concio” al “fuso”, dalla “fonte” al “vastaso”, erano tutte opere di maestri cannesi. Spesso i frantoi, assieme ai mulini, erano ubicati nei palazzi dei nobili del paese.

Le olive venivano deposte in alcuni grossi fossi; quando si iniziava la macinatura venivano trasferite nella “fonte”, una grande vasca di pietra in cui ruotava una macina mossa da asini, per la frantumazione delle drupe. Pronta la pasta, si procedeva alla “infiscolatura”, per poi sistemare i “fiscoli” pieni nel “concio”. Subito iniziava a colare l’olio che, attraverso un piccolo canale raggiungeva la “mammarella”, contenitore sottostante al concio. Dalla “mammarella” l’olio si “cresceva”, veniva cioè travasato ogni sera. Per aumentare la pressione del torchio, quattro operai facevano forza con le loro spalle sulle leve del “vastaso”, che, girando, tirava lo “sciastro”, la corda collegata alle presse.

La giornata lavorativa del trappetaro era lunga: iniziava alla cinque del mattino e terminava verso le sette, o anche le otto di sera; l’energia per far funzionare gli ingranaggi del trappeto era prodotta soltanto dagli operai e dalle bestie da soma.

Terminata la stagione, i clienti andavano a ritirare l’olio; il proprietario del frantoio ne tratteneva una determinata quantità la “istica”, come indennizzo per la molitura che veniva in seguito divisa tra le “parti” ed il proprietario stesso; questo atteso momento veniva coronato con un lauto banchetto.

In campagna, intanto, finita la raccolta delle olive, si procedeva con la potatura e, in primavera, con l’innesto di nuove piante. In agosto si riprendeva la potatura rivisitando le piante che, a causa di nuovi polloni, necessitavano di ulteriori sfrondamenti.

L’olivicoltura, che ho appena descritto seguendo l’ordine in cui le fonti ne hanno parlato, a Canna, oggi non è molto diversa. Certamente la strumentazione e le nuove tecnologie hanno modificato il ciclo produttivo, ma non hanno stravolto completamente certi costumi. L’aumento della produttività di ogni singolo frantoio ha portato alla dismissione di quasi tutti i venti frantoi del paese e, infatti, ne funzionano solo due, sufficienti al fabbisogno del paese stesso. la presenza di oliva “nostrale”, più nota come “moresca”. Tra l’autunno e l’inverno, quando il frutto è maturo, inizia la raccolta: sacchi, cassette, tende, panieri sono attrezzi e contenitori utili da portare in campagna; prima dei moderni mezzi di trasporto, un buon ausilio era fornito dagli asini e dai muli, cui venivano appesi gli “sportoni” per il trasporto delle olive dal luogo di raccolta fino al paese. Ad accogliere le olive, a Canna, vi erano circa venti trappeti, in ognuno dei quali lavoravano cinque persone: tre “parti”, un “massaro” ed il padrone del frantoio. Questi trappeti, tuttora esistenti, erano arredati con attrezzi di artigianato locale: dal “concio” al “fuso”, dalla “fonte” al “vastaso”, erano tutte opere di maestri cannesi. Spesso i frantoi, assieme ai mulini, erano ubicati nei palazzi dei nobili del paese.
Le olive venivano deposte in alcuni grossi fossi; quando si iniziava la macinatura venivano trasferite nella “fonte”, una grande vasca di pietra in cui ruotava una macina mossa da asini, per la frantumazione delle drupe. Pronta la pasta, si procedeva alla “infiscolatura”, per poi sistemare i “fiscoli” pieni nel “concio”. Subito iniziava a colare l’olio che, attraverso un piccolo canale raggiungeva la “mammarella”, contenitore sottostante al concio. Dalla “mammarella” l’olio si “cresceva”, veniva cioè travasato ogni sera. Per aumentare la pressione del torchio, quattro operai facevano forza con le loro spalle sulle leve del “vastaso”, che, girando, tirava lo “sciastro”, la corda collegata alle presse.
La giornata lavorativa del trappetaro era lunga: iniziava alla cinque del mattino e terminava verso le sette, o anche le otto di sera; l’energia per far funzionare gli ingranaggi del trappeto era prodotta soltanto dagli operai e dalle bestie da soma.
Terminata la stagione, i clienti andavano a ritirare l’olio; il proprietario del frantoio ne tratteneva una determinata quantità la “istica”, come indennizzo per la molitura che veniva in seguito divisa tra le “parti” ed il proprietario stesso; questo atteso momento veniva coronato con un lauto banchetto.
In campagna, intanto, finita la raccolta delle olive, si procedeva con la potatura e, in primavera, con l’innesto di nuove piante. In agosto si riprendeva la potatura rivisitando le piante che, a causa di nuovi polloni, necessitavano di ulteriori sfrondamenti.
L’olivicoltura, che ho appena descritto seguendo l’ordine in cui le fonti ne hanno parlato, a Canna, oggi non è molto diversa. Certamente la strumentazione e le nuove tecnologie hanno modificato il ciclo produttivo, ma non hanno stravolto completamente certi costumi. L’aumento della produttività di ogni singolo frantoio ha portato alla dismissione di quasi tutti i venti frantoi del paese e, infatti, ne funzionano solo due, sufficienti al fabbisogno del paese stesso.